Pensiero

Parte terza

SN di tipo Ia come misuratori di distanza
La consapevolezza di vivere in un Universo realmente grande (infinito), arriva con la misurazione della prima distanza stellare nel 1838 da parte di Friedrich Wilhelm Bessel. La stella era la 61 Cygni, distante 11,4 anni luce dalla Terra, e Bessel riuscì a compiere la misurazione della sua distanza grazie alla parallasse trigonometrica, la quale usa come base massima il diametro dell’orbita terrestre, ossia 2 UA (unità astronomiche, pari a circa 300 milioni di km), è ovvio che questa base non può essere aumentata, esattamente come non possiamo far crescere a nostro piacimento la distanza interpupillare o il diametro della Terra.
Le distanze misurate tramite la parallasse trigonometrica subiscono tale limite, e hanno valore solamente fino a circa 100 pc (parsec), ossia 326 anni luce, vale a dire una minuscola frazione della nostra galassia, per misurare distanze ben più grandi bisogna avvalersi di metodi detti secondari (la parallasse è un metodo primario).
Ma le candele su cui si basano questi metodi secondari dovranno essere tarate sui metodi primari; le variabili cefeidi ad esempio, rappresentano dei buoni metodi secondari per la misurazione delle distanze stellari, in quanto è stata scoperta la ben nota relazione periodo/luminosità, vale a dire che tanto più grande è il periodo tanto più grande è la sua luminosità assoluta.
Il meccanismo alla base dell’esplosione delle SN di tipo Ia, trasforma queste stelle in buoni indicatori di distanza, in quanto la luminosità assoluta, al massimo, risulta essere la stessa per tutte le SN appartenenti a questo tipo: dalla luminosità apparente, conoscendo quella assoluta, si può risalire alla distanza, almeno in teoria, in quanto bisognerà tenere conto di vari assorbimenti da parte della polvere interstellare e, per certe distanze, dell’entrata in scena della relatività ristretta.

La curva di luce
Per studiare la variazione luminosa di una stella, gli astronomi si avvalgono della cosiddetta “curva di luce”, ossia una rappresentazione grafica della variazione luminosa misurata in magnitudini, (assolute o apparenti), in funzione del tempo. La forma della curva di luce ci può dare molte informazioni interessanti, come una variabilità regolare, semiregolare e/o irregolare, permettendoci di indagare la natura delle variazione ed eventualmente, scoprire il meccanismo fisico responsabile della variazione stessa. Si è scoperto che esistono diverse tipologie di variazioni: le variazioni intrinseche e quelle estrinseche. Le variabili Cepheidi appartengono alla prima categoria, in quanto la causa della variazione luminosa si trova all’interno della stella stessa, mentre, le variabili del tipo Algol, appartengono alla seconda categoria, in quanto la variazione luminosa è provocata dal cause esterne alla stella, come l’occultazione di un compagno.
Nel caso delle SN di tipo Ia, la curva di luce tipica mostra le stesse caratteristiche, che ci permettono di utilizzarle come misuratori di distanza.

L’espansione dell’Universo
Un matematico russo, Aleksander Friedmann, analizzando le equazioni della relatività generale di Einstein, s’accorse che erano possibili diverse soluzioni, fornendo la base a differenti modelli cosmologici, (l’Universo non doveva necessariamente essere statico), i tre modelli che Friedmann propose, si riferiscono a tre possibili scenari del destino cosmico: Universo chiuso, aperto e piatto.
Se lanciamo una pietra in aria, potremo vedere che ben presto (quanto presto e quanto in alto essa volerà, dipenderà dall’energia che le verrà fornita al momento del lancio) ricadrà al suolo, perché la gravità terrestre ne rallenterà dapprima la sua corsa, in seguito la frenerà e la richiamerà verso il terreno. Se volessimo far abbandonare alla nostra pietra la superficie terrestre per sempre, dovremmo fornirle un’energia sufficiente da imprimergli una velocità di circa 11 km al secondo, la cosiddetta velocità di fuga. Se dovessimo ripetere la stessa operazione, ma questa volta dalla “superficie” solare (ammesso che sia concesso), dovremo imprimere alla nostra pietra un’energia decisamente maggiore, tale da farle raggiungere una velocità di 617 km al secondo! Ovviamente la massa del Sole e maggiore di quella terrestre, (300.000 volte maggiore), per questo motivo abbiamo bisogno di una velocità più grande per poter abbandonare la sua superficie. Se pensiamo ad un Big Bang, avvenuto circa 13,8 miliardi d’anni fa che dette origine all’Universo, dobbiamo visualizzare le innumerevoli galassie che fuggono le une dalle altre, senza un punto privilegiato, (in altri termini l’Universo non ha un centro ma ogni suo punto può essere considerato un centro), la domanda ora potrebbe essere: la massa di tutta la materia che compone il cosmo, sarà sufficiente a frenare questa espansione, richiamando a se tutta la materia (la pietra che ricade al suolo), oppure non c’è la farà e l’Universo si espanderà all’infinito, (la pietra che abbandona la Terra)?
Nel primo caso, la geometria universale sarà di tipo chiuso (ipersfera a curvatura costante positiva), nel secondo caso ci sarà una geometria aperta o iperbolica, (ipersfera a curvatura costante negativa), e ci può essere anche una via di mezzo, un Universo piatto, euclideo. In uno spazio chiuso prima o poi ci sarà il cosiddetto Big Crunch, due rette convergono in un punto. Nel secondo caso l’universo si espanderà per sempre, e due rette divergeranno all’infinito, (forma a sella), il terzo caso vedrà sempre un’eterna espansione, solamente che lo spazio sarà piatto, due rette sono parallele. Le moderne ricerche cosmologiche ci portano ad un risultato sconvolgente; l’universo non solo è in espansione, ma (per alcuni motivi che vedremo più avanti) addirittura accelera!

Come fare a distinguere i vari modelli?
Per capire la difficoltà insita in questo tipo di ricerche, proviamo a pensare alla superficie terrestre; sappiamo che la Terra è rotonda, eppure dalla superficie possiamo sperimentare una certa piattezza, infatti per molto tempo si è creduto di vivere su una Terra piatta, senza che questo creasse tante difficoltà!
La dimensione terrestre, paragonata a noi, è immensa, tanto grande che non possiamo renderci conto della curvatura del nostro pianeta se non su una scala di migliaia di km. In un universo in espansione, possiamo osservare dei locali moti in avvicinamento, come è il caso della galassia M31 in Andromeda, la quale appare dotata di un moto di avvicinamento (blue-shift) nei confronti della nostra galassia, dovuta al suo moto all’interno del “Gruppo locale”, anche se – assieme al resto del gruppo – partecipa all’espansione universale.
Se ci si vuol rendere conto in quale modello di universo ci troviamo a vivere, bisognerà studiare l’universo su grande scala, a distanze dell’ordine di centinaia di milioni d’anni luce. Dobbiamo a questo punto impadronirci di un importante concetto: la costante di Hubble.

La costante di Hubble
Pensando a come un essere umano possa cambiare la visione del mondo, non posso fare a meno di riflettere su un uomo in particolare; Edwin Hubble. Prima delle sue ricerche tutto l’universo conosciuto non era più grande della Via Lattea che, anche se con un’estensione di migliaia di anni luce appare immensa, almeno su scala umana, è decisamente ristretta nei riguardi del “solo” universo locale. Grazie al telescopio del monte Wilson, l’allora più grande telescopio del mondo dal diametro di 2,54 metri (100 pollici), riuscì a ottenere fotografie di stelle appartenenti a galassie esterne alla nostra, ed in particolar modo nella grande galassia di Andromeda riuscì a rivelare le variabili cepheidi. Benché Hubble sottostimò la distanza di Andromeda ponendola a poco meno di un milione di anni luce dalla nostra galassia, dimostrò all’infuori d’ogni dubbio che si trattava di un oggetto extragalattico.
Fotografando deboli galassie e a riprendendone lo spettro, il nostro approdò a una scoperta che era destinata a cambiare la visione del cosmo e di noi stessi per sempre. Lo spettro delle galassie mostrava che alcune righe apparivano spostate di una certa quantità verso la parte rossa dello spettro, rispetto alle stesse righe osservate in laboratorio, e l’entità dello spostamento era tanto più pronunciata quanto debole (e presumibilmente lontana) era la galassia, ma non solo, l’entità di questo spostamento appariva più grande quanto più grande era la distanza che ci separava dalle galassie.
Hubble riportò una misura eccessiva per la costante che porta il suo nome: Ho=v/d, ossia 500 km al secondo per Mpc (o megaparsec), cioè 1 milione di parsec. Ciò equivale a dire che se una galassia distante 1 Mpc appare allontanarsi ad una velocità di 500 Km per secondo, una galassia distante 2 Mpc si allontana a 1000 km/s. Se questo valore fosse esatto ci troveremmo a vivere in un universo molto giovane, molto più giovane delle stelle della Via Lattea!
 

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