La “sindrome” di McNeil


Come dice il famoso detto: audax fortuna juvant, per riuscire bisogna osare, ma – rischiando di fare il “mistico” a mezza pensione - bisogna osare senza osare…
L’osservazione del cielo stellato è, (o dovrebbe essere), per se stessa una gratificazione, si osserva il cielo perché è bello. Scavalchiamo i confini del puro utilitarismo, facendo una cosa perché ne abbiamo un certo guadagno, o per acquisire una certa fama, o per fare una seria ricerca scientifica, no, niente di tutto questo, lasciamoci alle spalle lo scopo, e pensiamo al puro godimento. 
Senza sconfinare nel fatalismo, potrei affermare che le cose arrivano quando non si ricercano, o almeno, (e qui vengo ad affrontare il vero significato di ciò che sto tentando di esprimere), quando la nostra ricerca non diviene ossessiva. 
Mi avvarrò di qualche esempio, per illustrare quello che intendo.

Una scoperta d’altri tempi…
Durante una gelida, nonché splendida nottata invernale, l’astrofilo americano Jay McNeil, decide di testare il suo ultimo acquisto; un rifrattore apocromatico della Takahashi da 76 mm d’apertura. Voleva riscontrare l’ampiezza del campo di ripresa con questo strumento, in abbinamento alla sua camera ccd della SBIG, una ST-10XME, decidendo di effettuare una ripresa in maniera del tutto casuale, anche se non del tutto priva di metodo, scegliendo una regione celeste nella costellazione d’Orione, la dove si ritrova la bella nebulosa che porta la sigla Messier 78. La plaga celeste ad essa contigua, è piena di piccole nebulose a diffusione, che riflettono la luce delle stelle ivi immerse. McNeil decide di fare una ripresa di questa regione, non utilizzando nessun filtro e con una posa complessiva di 90’. Il tutto fila abbastanza liscio, il nostro effettua la sua ripresa e non ne analizza i risultati, per via di vari impegni, che sei giorni più tardi. Quando finalmente riesce a mettersi davanti al proprio computer per processare l’immagine ripresa giorni prima, a lavoro ultimato, esaminando attentamente il risultato di questa ripresa, McNeil si accorge di un oggetto di forma oblunga, con mv intorno alla 15, una nebulosa che non aveva mai notato in precedenza. Il nostro, in maniera febbrile, (come non comprendere il suo stato d’animo), comincia a fare varie ricerche in rete, analizzando anche riprese profonde di questa regione celeste, come quelle del Digitized Sky Survey. Con somma sorpresa non ne riscontra la minima traccia in queste riprese! Vuoi vedere che ho fatto una nuova scoperta? Esclama. Successivi controlli su appositi siti reperibili in rete, mettono in luce che gli unici oggetti presenti nelle vicinanze di questa "nebulosetta" sono di mv decisamente debole. Si fa allora strada una giusta domanda: com’è possibile che oggetti, del tutto invisibili in riprese profonde fatte con strumenti professionali, siano invece alla portata di un telescopio da 76 mm di diametro? L’unica risposta possibile, era che stava accadendo qualcosa di speciale. 
La scoperta di McNeil fu finalmente confermata da astronomi professionisti, e fu associata alla nascita di una stella, la "nebulosa di McNeil", come fu presto battezzata, si mostrava per certi versi similare ad altre nebulose note ormai da qualche tempo, come la nebulosa variabile di Hubble, tanto per fare un esempio… E non è tutto; si pensa di aver trovato anche la stella che illumina quest'oggetto, si tratterebbe di una sorgente infrarossa, nota con la sigla IRAS 05436-0007, emittente anche nel campo delle radioonde, (LMZ 12)
Essendo una evento piuttosto raro, quello di assistere alla luce di un astro nascente, che letteralmente squarcia le nubi di polvere responsabili della sua gestazione, questa scoperta assume un importante ruolo nel campo dell’astrofisica. Una scoperta fatta quasi per caso!
Non bisogna pensare che questa scoperta sia solamente frutto di fortuna sfacciata, (in parte lo è anche), ma la fortuna bisogna anche aiutarla, per così dire. Infatti, McNeil, analizzando l’immagine da lui stesso ripresa, lo fece in maniera così rigorosa da non permettere a una nuova nebulosa, sebbene molto piccola, di sfuggirgli. Quante volte riteniamo di aver visto tutto?
Il vero problema risiede nel fatto, che quando osserviamo gli oggetti più famosi nonché più brillanti, (invero la maggior parte degli astrofili osserva solo gli stessi oggetti), lo facciamo con una certa superficialità, dettata da una – falsa – convinzione di conoscenza. 

Un pianeta meraviglioso…
Era la notte dell’otto ottobre del 1998, e il seeing era eccezionale, chi scrive stava osservando il meraviglioso sistema di Saturno, con il rifrattore apocromatico da 155 mm F7 (Astro-Physics), riuscendo a cogliere minutissimi particolari, proprio in virtù dell’eccellente seeing. Il sistema degli anelli mostrava un’incantevole divisione di Cassini, ma anche quella di Enke era visibile, (600X), e l’anello C, interno, (velo) si mostrava in tutta la sua magnificenza; sembrava trasparente per quanto era diafano! Anche il globo del pianeta, sebbene notevolmente meno “vivo” che nel caso di Giove, mostrava un paio di bande marroncine, con quella a nord sdoppiata. Ma quella notte vidi una macchia bianca di forma ovale, posta proprio sull’equatore di Saturno. Telefonai all’amico Plinio Camaiti, il quale aveva ottenuto, quasi nello stesso momento della mia osservazione, un’eccellente immagine ccd del pianeta, (Schmidt-Cassegrain da 203 mm d'apertura), per chiedere se avesse visto questa macchia, (sapevo che si trattava di un evento abbastanza raro), ma come le dico ciao, questi mi parla subito di un ovale bianco nemmeno tanto piccolo visibile, “sull’equatore di Saturno vero?”, l’interruppi… A questo punto non esisteva più alcun dubbio, io confermai la sua scoperta mentre lui confermava la mia scoperta, che intanto era divenuta la nostra scoperta! A quel punto decidemmo di comunicarla, in nome di entrambi, alla sezione Saturno dell’UAI, dove fu prontamente registrata.
Quella notte nessuno dei due osservava per scoprire qualcosa, pur non escludendone a priori la possibilità, ma nello stesso tempo, entrambi osservammo, ponendo un’estrema attenzione ai particolari visibili al momento. 

Si fa la storia
Verso la metà del 1700, un musicista britannico, di origini tedesche, Sir. William Herschel, divenne uno dei più brillanti astronomi di tutti i tempi. 
Herschel si appassionò di astronomia, partendo da scopi puramente musicali; per studiare la matematica associata alla musica, comprò e studiò molto attentamente il libro Harmonics di Robert Smith, un noto astronomo di Cambridge. Da questa lettura apprese molto sulla scienza dei cieli, e in seguito ad altre letture, apprese nozioni d’ottica, rimanendo tanto impressionato, da voler vedere personalmente al telescopio quello che aveva potuto fino a quel momento solamente leggere. In seguito si fece prestare un telescopio astronomico da un amico per un periodo di un mese, ma quando alla fine di tale periodo, il nostro dovette restituire lo strumento, ne rimase così colpito, da decidere di costruirsene uno per se. Da quel momento una passione travolgente influenzò tutta la sua vita, portandolo a osservare perfino tra gli intervalli di un concerto musicale da lui stesso diretto! Herschel costruì strumenti dai diametri sempre più grandi, fino ad arrivare alla costruzione di un riflettore newton, con specchio da 122 cm di diametro e ben 12 metri di lunghezza focale, impresa – specialmente per quei tempi - tutt’altro che facile. Si pensi che il nostro, che utilizzava stampi fatti con sterco di cavallo essiccato, durante la prima colata di questo strumento, assistette alla rottura di uno di questi stampi, la quale causò la fuoriuscita di oltre 200 kg di metallo fuso sul pavimento del suo laboratorio, e Herschel dovette correre, saltellando qua e là, per non rimanere gravemente ustionato!
Ogni occasione era buona per “guardare lassù”, semplicemente godendo di splendidi panorami celesti, anche se non mancava un’accurata metodologia alla base. 
Herschel, coadiuvato dalla sorella Caroline, si era messo in testa di portare a termine una rassegna celeste, catalogando tutte le stelle di una certa magnitudine. Durante una serata di osservazioni dedicata principalmente a questo scopo, (il 13 marzo del 1781), il nostro s’imbatté in un astro mai veduto in precedenza, in una regione della costellazione dei Gemelli. Decise di esaminare questa stella utilizzando ingrandimenti più sostenuti, e s’accorse (con una certa meraviglia) che l’astro mostrava un dischetto, risentiva cioè degli ingrandimenti a dispetto delle stelle, che si mostravano puntiformi anche ingrandendo al massimo. Ritenuta dapprima una cometa, l’astro si rilevò invece un pianeta, ora conosciuto sotto il nome di Urano. Una scoperta che suscitò (giustamente) molto scalpore, e che fece guadagnare al suo scopritore il definitivo ruolo di astronomo, con una medaglia (Copley Medal), che gli fu consegnata dalla Royal Society di Londra. 

Evitiamo le seccature 
Nello stesso periodo di Herschel, in Francia, operava un altro grande osservatore del cielo: Charles Messier. Costui scrutava la volta celeste alla ricerca di comete, con un riflettore da 19 cm di diametro, operando sicuramente in condizioni migliori delle nostre, almeno da un punto di vista della qualità del cielo. La sua meticolosità era tale da far dubitare perfino che dormisse; in un resoconto dell’astronomo, si può leggere che, "il cielo si era mantenuto nuvoloso fin verso le tre del mattino, con un piccolo squarcio avvenuto qualche ora dopo, per poi ricoprirsi, questa volta definitivamente". Messier si manteneva vigile anche durante le notti nuvolose, un vero e proprio stacanovista dell’osservazione astronomica, ma qual era il motore che lo teneva sveglio se non la passione per il cielo stellato? 
Occupandosi principalmente di comete, Messier sentì la necessità di sbarazzarsi di eventuali false scoperte, infatti, alcune nebulose di natura differente dalle comete (tra le quali anche le galassie), potevano esser scambiate proprio per queste ultime, traendo in inganno Messier e causando numerosi falsi allarmi. Fu per evitare tutto questo, che il grande osservatore decise di catalogare tutti quegli oggetti che potevano esser scambiati per gli astri chiomati, in questo modo vide la luce un catalogo, contenente un centinaio di oggetti, (non tutti scoperti dal nostro), che porta il suo nome; il catalogo di Messier.
L’utilità di questo catalogo è sotto gli occhi di chiunque ai giorni nostri osserva il cielo, perciò Messier ci rese un notevole servizio, godendo semplicemente del cielo stellato, ma avvalendosi sempre del metodo di annotare tutto. 

Una casualità provocata
E’ noto, dalla storia dell’astronomia planetaria, che il pianeta Nettuno fu scoperto grazie ai calcoli di Le Verrier e Adams, (anche se parrebbe, da certe fonti storiche venute a galla recentemente, che i calcoli di quest’ultimo fossero spudoratamente sbagliati), nell’anno 1846, sulla base di perturbazioni gravitazionali indotte da questo pianeta sull’orbita di Urano; un vero trionfo della meccanica celeste! 
Sulla scia di questa scoperta, anni più tardi, s’inserì Percival Lowell, calcolando l’orbita di un pianeta extranettuniano, sulla base di presunte perturbazioni sull’orbita dell’allora ultimo pianeta del sistema solare, da parte di un ipotetico nono pianeta, perturbazioni attribuite più tardi, ad errori di natura strumentale. Lowell, che non mancava certamente di tenacia unita ad una certa cocciutaggine, eseguì tutta una serie di calcoli, atti a rilevare questo pianeta perturbatore. Com’è noto, Percival non riuscì nel suo intento, essendo nel frattempo deceduto, ma ci pensò Clyde Tombaugh a scoprire quel pianeta (chiamato Plutone), nel 1930, in una posizione non lontanissima dalle effemeridi calcolate da Lowell. Senza voler togliere nulla a Tombaugh, la scoperta di Plutone deve ritenersi del tutto casuale, essendo la massa di quest'ultimo, decisamente troppo piccola per perturbare un pianeta grande come Nettuno. Tombaugh scoprì Plutone, perlustrando praticamente tutto il cielo, attività questa che mantenne praticamente fino alla sua morte, avvenuta nel 1997, quando alla veneranda età di novantuno anni, la sua maggiore occupazione era riservata all’osservazione della volta stellata. 
Metodo, pazienza e costanza si, ma soprattutto tanta voglia di stare a contatto con il cielo… 

Conclusione
In definitiva, le cose belle della vita son quelle nate con noi, e che ci portiamo dietro per una intera esistenza, ma anche quelle cose che nessuno ci ha donato e nessuno potrà mai toglierci, morte compresa! Nessun astrofilo è in grado di rispondere – seriamente – alla domanda: perché lo fai? E se ci pensiamo bene, lo stesso accade per tutte le questioni importanti, basta provare a chiedere il perché di un amore, o di un amicizia, o il senso di una notte stellata… Che senso potrà mai avere, in un’accezione meramente utilitaristica del termine, una notte stellata? L’astrofilo è un amante del cielo, ma anche un poeta e un artista, un mistico e allo stesso tempo uno scienziato razionale. Non vedo nessun motivo valido per non prendere tutto il “pacchetto”. Per finire posso solamente aggiungere che, se la serietà appare necessaria per qualunque attività umana, la seriosità uccide tutto, rendendo l’essere umano spento e apatico nei confronti del mondo e di se stesso. 

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