MAGGIO 2007 

Generalmente nel mese di maggio ogni osservazione è estremamente preziosa, non che negli altri mesi non lo sia, ma in base a una mia personale statistica, questo è uno dei meno sfruttabili da un punto di vista astronomico. Con la costellazione della Vergine bella alta in meridiano, la tentazione di gustare le luminose galassie che ci mette a disposizione è irresistibile. Ricordo in proposito, una bella nottata a 1600 M con il binocolo Vixen 20X125; partendo dalla cosiddetta “cintura di Markarian”, mi sono spazzolato una decina di galassie, partendo da M84 e M86, sembrava di guardare in una grande lastra di Schmidt! Ma procediamo con ordine. Sono state scoperte entrambe da Messier nel 1781, anno in cui inserì nel suo celebre catalogo ben altre sette galassie dell’ammasso della Vergine. Si collocano in una ricca zona centrale di tale ammasso: sembrano due occhietti nebulosi, con M84, posta più a ovest, sferica e brillante. M86 è una galassia ellittica gigante del tipo E3 (c’è chi la ritiene di tipo S0) con un grande corteo di ammassi globulari, anche se meno cospicuo rispetto alla galassia M87. Verso nord/est, praticamente a ridosso, ha una debole compagna, una ellittica nana. Queste galassie si possono osservare con strumenti dal diametro modesto e in tutte le condizioni di cielo; osservandole nel corso di vari anni, praticamente con ogni tipo di strumentazione e sotto condizioni di pesante inquinamento luminoso, mi sono formato l’opinione che il solo serio ostacolo, che ne può impedire l’identificazione, è un cielo totalmente coperto! Generalmente la visione di galassie ellittiche, anche se di buona luminosità, risulta poco entusiasmante (anche se non si può rimanere impassibili dinnanzi a oggetti così grandi e distanti), ma ci sono alcune eccezioni.
Essendo membri di un ricco ammasso di galassie, risultano degli utili “cartelli stradali” per rintracciare innumerevoli altre galassie poste nelle vicinanze. Messier ne riportò la seguente descrizione, nel Marzo del 1781; “d’aspetto simile si mostrano entrambe nel medesimo campo dell’oculare del telescopio”. Riferendosi a ogni singola galassia come “nebulosa senza stelle nella Vergine”. È interessante notare come un’affermazione del genere sia del tutto scontata ai nostri giorni, mentre non lo era a quei tempi, in quanto si credeva che le "nebulose" (classificazione che si dava anche alle galassie) fossero tutte risolvibili in stelle, bastava solamente far crescere il diametro del telescopio per risolvere in stelle qualunque nebulosa. Se, per quanto riguarda le galassie questa affermazione può anche essere vera, risulta del tutto fuori luogo quando ci si riferisce alle nebulose gassose, in quanto anche con un telescopio da 100 metri di diametro, la nebulosa M42 rimarrebbe tale! Vorrei a questo punto mettere l’accento su un aspetto interessante dell’osservazione visuale del cielo profondo; la capacità di staccare un oggetto debole dipende, oltre che dalla magnitudine apparente dell'oggetto, anche dal suo rapporto segnale/rumore, che potremmo definire come il contrasto tra l’oggetto e il fondo cielo. Proviamo a fare un piccolo esperimento avvalendoci di queste due galassie; la prima (M84) ha una mv di 9,4, una luminosità superficiale pari a 13,3 e una dimensione angolare di 6,5’x5,6’. M86, ha una mv pari a 9, una luminosità superficiale di 13,2 e 8,9’x5,8’ di dimensioni angolari. Valori non molto dissimili, eccetto per le dimensioni più generose della seconda. Proviamo dunque a osservare questi due “occhi accesi nell’infinito” con un’apertura da 100 mm, anche sotto un cielo relativamente inquinato (mv limite intorno alla 3° allo zenit). Potremo notare la relativa facilità con la quale si evidenziano rispetto ad un fondo cielo pur relativamente lattiginoso. Nelle medesime condizioni di trasparenza atmosferica, si provi a puntare la galassia M61 (ovviamente con lo stesso strumento) che ha mv 9,6, una luminosità superficiale di 13,4 e una dimensione angolare di 6,5’x5,8’. Si potrà notare che la visibilità di quest’ultima, nonostante la mv simile alle due ellittiche, sia notevolmente compromessa, perché? Un oggetto compatto mantiene un rapporto segnale/umore più alto rispetto a un oggetto avente luminosità più dispersa; invito a sperimentare direttamente sul cielo quanto appena affermato. Al crescere delle dimensioni dello strumento, si nota una mancanza di particolari, ma anche una maggiore luminosità, una regione nucleare più circoscritta e un alone più vasto e diffuso. Non è vero che una grande apertura risulti sprecata per le galassie ellittiche.
Personalmente, quando contemplo queste galassie, rimango colpito dalla loro relativa facilità di osservazione in relazione alla notevole distanza che ci separa. Si afferma, correttamente, che l’osservazione del cielo avviene nell’occhio e (soprattutto) nel cervello, ma anche la mente svolge un suo ruolo tutt’altro che trascurabile. Non bisognerebbe ignorare che, per esempio, conoscere quello che si osserva non può far altro che accrescere sia la bellezza sia la profondità di ciò che fa bella mostra di se nel campo oculare. Come esseri umani siamo, allo stesso tempo meravigliati e spaventati dall’ignoto. Il buio cosmico, la relativa delicatezza di un bagliore affievolito da una distanza di milioni d’anni luce e la consapevolezza di condividere con l’oggetto osservato soltanto un’istantanea della sua vasta esistenza, rendono ogni osservazione estremamente preziosa nonchè unica. Abituiamoci a pensare quando osserviamo. Buone osservazioni.
 

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