Febbraio 2009
 

Facile/difficile
 

Uno degli aspetti più affascinanti dell’osservazione visuale degli oggetti del cielo profondo, è dato dalle differenti difficoltà percettive, su oggetti celesti ritenuti (a volte a torto) relativamente facili, sia per la loro buona mv, sia per la loro - relativa - vicinanza. Ma le sorprese non finiscono qui; possiamo imbatterci in oggetti “difficili”, constatando come possano diventare “facili” a condizione di utilizzare una corretta metodologia osservativa. Queste sensazioni sono (e dovrebbero divenire) il pane quotidiano di chiunque si occupi degli oggetti deboli: durante una recente osservazione, mi è capitato di imbattermi in una curiosa galassia nel Cetus; IC 1613. Si tratta di una galassia davvero interessante; fu scoperta da Max Wolf nel 1906, che la descrisse come “debole ed estremamente larga”, si tratta di una delle prime galassie riconosciute come appartenenti al cosiddetto “Gruppo Locale”, di cui fa parte anche la nostra galassia e la grande Andromeda. È una galassia nana irregolare, simile alla NGC 6822 nel Sagittario. Si pensi che è talmente diafana, che è stato possibile scoprire alcune galassie poste al di la del suo impalpabile disco! Ho trovato pareri molto discordi sulla difficoltà di osservare questo oggetto; da chi afferma che ci vogliono aperture da almeno 400 mm, utilizzate sotto un cielo assolutamente cristallino per poter sperare di vederla, chi – all’altro estremo – afferma di poterla osservare facilmente anche con un semplice binocolo! Ovviamente, per esperienza personale, non intendo certamente smentire nessuno dei pareri (a patto che facciano parte del bagaglio esperienziale di qualcuno) anzi, posso aggiungere la mia esperienza in merito.
Mi ritrovavo, un paio di mesi fa, a Prarotto, ad osservare sotto un cielo sereno ma non certamente eccezionale, con qualche velatura (tenuta sempre a debita distanza dagli oggetti osservati). Come avranno “sospettato” coloro che leggono con regolarità questo angolino dedicato alle osservazioni visuali, chi scrive, pur non trascurando nulla nel vasto cielo, è letteralmente ghiotto di galassie, perciò quella nottata me ne andavo tranquillamente a caccia di “universi isola” quando m’imbattei in un oggetto tecnicamente interessante; una galassia irregolare (tipo IB(s)m V) con una mv invitante – +9,2 – e una dimensione angolare di tutto rispetto, pari a 16,2’x14,5’. Non c’è che dire, se non fosse per un piccolo particolare; la sua luminosità superficiale (+15!) la rende un oggetto abbastanza deboluccio… Una volta verificato lo stato del cielo nella direzione in cui si trova questa galassia (al confine con i Pesci) e, visto che stavo osservando, nella stessa zona, abbastanza agevolmente, altre galassie con mv 11,5/12,5, decisi di puntarla. Ecco la descrizione; “66X – si tratta di un oggetto veramente difficile, per diversi fattori: la sua bassissima luminosità superficie unita alle sue grandi dimensioni apparenti, anche la sua forma irregolare non aiuta! Per individuarla ci si serve di un gruppetto di stelline, verso est, e di una brillante stella (mv 7,1) a nord/ovest, assieme a un gruppetto di più brillanti. All’interno di queste stelle si riesce, con una fatica veramente enorme, a intravedere un delicato e incorporeo fuso di luce, di forma allungata (nord/ovest-sud/est). 133X – con la visione distolta, categorica, e con la tecnica del “colpetto al telescopio” si riesce a vedere abbastanza chiaramente la parte centrale di questa curiosa galassia. È Bella perché difficile!”. (Dobson Ariete da 508 mm).
Come si può notare da questa, “faticata” descrizione, ci sono diversi fattori interessanti:

Non sempre una bassa luminosità superficiale, si presta a una migliore osservazione con gli ingrandimenti miniori, come sostenuto, a volte abbastanza perentoriamente, da alcuni (talora valenti ed esperti) osservatori visuali.
Le tecniche, come quella del “colpetto” al telescopio (descritta e spiegata accuratamente anche nel mio ultimo libro “L’arte di osservare al telescopio”) hanno una loro reale efficacia.
L’ingrandimento maggiore, anche se provoca un certo restringimento del campo, con conseguente perdita d’insieme, può, aumentando il rapporto segnale/rumore, permetterci di staccare un oggetto sicuramente al limite della serata.

Diversi osservatori, mancano il punto, semplicemente perché applicano alla lettera, e senza discutere, certe “regole” imparate a tavolino, ponendo evidentemente un’eccessiva fiducia in esse, e dandole un senso d’assolutismo.
C’è un altro aspetto che mi piacerebbe discutere, prima di salutarci; un conto è “vedere” un conto è “percepire”, non si tratta di sinonimi! Nasce un certo fraintendimento, purtroppo, quando nelle varie descrizioni visuali, si legge “ho visto” in special modo quando si trattano oggetti decisamente deboli. Osservando con due strumenti dall’apertura (e configurazione ottica) differente; l’apocromatico da 155 mm e l’Ariete da 508 mm, ci si rende conto dell’importanza di questi due aspetti. Con l’apertura più piccola, posta sotto un cielo cristallino di montagna, ho potuto percepire una galassia di mv 14,2, visibile al limite come una lattescenza spettrale a malapena staccata dal fondo cielo. Con il mezzo metro, la stessa galassia appare, seppur debole, come un oggetto differenziato; con una regione nucleare apprezzabile e un delicato alone, in questo caso è più lecito parlare di “vedere”. È da certi fraintendimenti che nascono, a volte, disguidi poco simpatici, come nel caso della percezione di tonalità cromatiche in nebulose brillanti, quando si dice “ho visto una colorazione rosa” non s’intende una tonalità rosata che può essere comodamente vista in piena luce del sole, semmai un qualcosa di percepito, anche se inconfondibile.
Quando si ha a che fare con la fotografia astronomica, le descrizioni delle varie tecniche, si sciupano, l’osservazione visuale si dà (a gravissimo torto) per scontata, da qui insorgono alcune delusioni cocenti, che possono provocare, in casi particolari, un’estrema avversione per gli oggetti “difficili”, costringendoci a rivolgere la nostra attenzione a i soliti “facili” oggetti celesti. Mi auguro caldamente, che la lettura di queste pagine, possa almeno servire da sprone, a chi non intende rinunciare a un’attività, sicuramente difficoltosa, ma dal sapore decisamente appagante.

 

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