Uno degli aspetti più
affascinanti dell’osservazione visuale degli oggetti del cielo profondo, è
dato dalle differenti difficoltà percettive, su oggetti celesti ritenuti (a
volte a torto) relativamente facili, sia per la loro buona mv, sia per la
loro -
relativa - vicinanza. Ma le sorprese non finiscono qui; possiamo
imbatterci in oggetti “difficili”, constatando come possano diventare
“facili” a condizione di utilizzare una corretta metodologia osservativa.
Queste sensazioni sono (e dovrebbero divenire) il pane quotidiano di
chiunque si occupi degli oggetti deboli: durante una recente osservazione,
mi è capitato di
imbattermi in una curiosa galassia nel Cetus;
IC 1613. Si tratta di una
galassia davvero interessante; fu scoperta da Max Wolf nel 1906, che la
descrisse come “debole ed estremamente larga”, si tratta di una delle prime
galassie riconosciute come appartenenti al cosiddetto “Gruppo Locale”, di
cui fa parte anche la nostra galassia e la grande Andromeda. È una galassia
nana irregolare, simile alla NGC 6822 nel Sagittario. Si pensi che è
talmente diafana, che è stato possibile scoprire alcune galassie poste al di
la del suo impalpabile disco! Ho trovato pareri molto discordi sulla
difficoltà di osservare questo oggetto; da chi afferma che ci vogliono
aperture da almeno 400 mm, utilizzate sotto un cielo assolutamente
cristallino per poter sperare di vederla, chi – all’altro estremo –
afferma di poterla osservare facilmente anche con un semplice binocolo!
Ovviamente, per esperienza personale, non intendo certamente smentire
nessuno dei pareri (a patto che facciano parte del bagaglio esperienziale di
qualcuno) anzi, posso aggiungere la mia esperienza in merito.
Mi ritrovavo, un paio di mesi fa, a Prarotto, ad osservare sotto un cielo
sereno ma non certamente eccezionale, con qualche velatura (tenuta sempre a
debita distanza dagli oggetti osservati). Come avranno “sospettato” coloro
che leggono con regolarità questo angolino dedicato alle osservazioni
visuali, chi scrive, pur non trascurando nulla nel vasto cielo, è
letteralmente ghiotto di galassie, perciò quella nottata me ne andavo
tranquillamente a caccia di “universi isola” quando m’imbattei in un oggetto
tecnicamente interessante; una galassia irregolare (tipo IB(s)m V) con una
mv invitante – +9,2 – e una dimensione angolare di tutto rispetto, pari a
16,2’x14,5’. Non c’è che dire, se non fosse per un piccolo particolare; la
sua luminosità superficiale (+15!) la rende un oggetto abbastanza
deboluccio… Una volta verificato lo stato del cielo nella direzione in cui
si trova questa galassia (al confine con i Pesci) e, visto che stavo
osservando, nella stessa zona, abbastanza agevolmente, altre galassie con mv
11,5/12,5, decisi di puntarla. Ecco la descrizione; “66X – si tratta di un
oggetto veramente difficile, per diversi fattori: la sua bassissima
luminosità superficie unita alle sue grandi dimensioni apparenti, anche la
sua forma irregolare non aiuta! Per individuarla ci si serve di un gruppetto
di stelline, verso est, e di una brillante stella (mv 7,1) a nord/ovest,
assieme a un gruppetto di più brillanti. All’interno di queste stelle si
riesce, con una fatica veramente enorme, a intravedere un delicato e
incorporeo fuso di luce, di forma allungata (nord/ovest-sud/est). 133X – con
la visione distolta, categorica, e con la tecnica del “colpetto al
telescopio” si riesce a vedere abbastanza chiaramente la parte centrale di
questa curiosa galassia. È Bella perché difficile!”. (Dobson
Ariete da 508
mm).
Come si può notare da questa, “faticata” descrizione, ci sono diversi
fattori interessanti:
•
Non sempre una bassa luminosità superficiale, si presta a una migliore
osservazione con gli ingrandimenti miniori, come sostenuto, a volte
abbastanza perentoriamente, da alcuni (talora valenti ed esperti)
osservatori visuali.
• Le tecniche, come quella del “colpetto” al telescopio (descritta e
spiegata accuratamente anche nel mio ultimo libro “L’arte di osservare al
telescopio”) hanno una loro reale efficacia.
• L’ingrandimento maggiore, anche se provoca un certo restringimento del
campo, con conseguente perdita d’insieme, può, aumentando il rapporto
segnale/rumore, permetterci di staccare un oggetto sicuramente al limite
della serata.
Diversi osservatori, mancano il punto, semplicemente perché applicano alla
lettera, e senza discutere, certe “regole” imparate a tavolino, ponendo
evidentemente un’eccessiva fiducia in esse, e dandole un senso
d’assolutismo.
C’è un altro aspetto che mi piacerebbe discutere, prima di salutarci; un
conto è “vedere” un conto è “percepire”, non si tratta di sinonimi! Nasce un
certo fraintendimento, purtroppo, quando nelle varie descrizioni visuali, si
legge “ho visto” in special modo quando si trattano oggetti decisamente
deboli. Osservando con due strumenti dall’apertura (e configurazione ottica)
differente; l’apocromatico da 155 mm e l’Ariete da 508 mm, ci si rende conto
dell’importanza di questi due aspetti. Con l’apertura più piccola, posta
sotto un cielo cristallino di montagna, ho potuto percepire una galassia di
mv 14,2, visibile al limite come una lattescenza spettrale a malapena
staccata dal fondo cielo. Con il mezzo metro, la stessa galassia appare,
seppur debole, come un oggetto differenziato; con una regione nucleare
apprezzabile e un delicato alone, in questo caso è più lecito parlare di “vedere”.
È da certi fraintendimenti che nascono, a volte, disguidi poco simpatici,
come nel caso della percezione di tonalità cromatiche in nebulose brillanti,
quando si dice “ho visto una colorazione rosa” non s’intende una tonalità
rosata che può essere comodamente vista in piena luce del sole, semmai un
qualcosa di percepito, anche se inconfondibile.
Quando si ha a che fare con la fotografia astronomica, le descrizioni delle
varie tecniche, si sciupano, l’osservazione visuale si dà (a gravissimo
torto) per scontata, da qui insorgono alcune delusioni cocenti, che possono
provocare, in casi particolari, un’estrema avversione per gli oggetti
“difficili”, costringendoci a rivolgere la nostra attenzione a i soliti
“facili” oggetti celesti. Mi auguro caldamente, che la lettura di queste
pagine, possa almeno servire da sprone, a chi non intende rinunciare a
un’attività, sicuramente difficoltosa, ma dal sapore decisamente appagante.
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